giovedì 5 aprile 2018

Recensione: "L'Avversario" di Emmanuel Carrère

Buongiorno!
Prosegue senza sosta la mia crociata a favore della letteratura francese contemporanea. E, ancora una volta, il mio vessillo è sempre lui: Emmanuel Carrère.
Ho terminato questa lettura circa un mesetto (e più) fa, ma ho sentito la necessità di raccogliere le mie idee e lasciar decantare questo "romanzo-verità", così come definito dallo stesso autore,  al fine di non falsare il mio giudizio in base soltanto alla rabbia provata al termine della lettura.
Mi sono informata, ho preso appunti...ed eccomi qui, pronta a parlarvi di un libro che racconta la vicenda (realmente accaduta) giudiziaria del pluriassassino Jean-Claude Romand.

TITOLO: L'Avversario
AUTORE: Emmanuel Carrère
EDITORE: Adelphi
ANNO: 2013
PREZZO: 17€ (formato cartaceo); 9,99€ (eBook)
PAGINE: 169

TRAMA: "Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L'inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone il cui sguardo non sarebbe riuscito a sopportare. È stato condannato all'ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato - e turbi, credo, ciascuno di noi." (Emmanuel Carrère)


Ero stato scelto (...) da quella storia atroce, senza volerlo mi ero messo sulla stessa lunghezza d'onda dell'uomo che ne era responsabile. Avevo paura. Paura e vergogna. Mi vergognavo davanti ai miei figli di occuparmi di quella storia. Ero ancora in tempo per fuggire? O la mia peculiare vocazione era proprio cercare di capirla, di guardarla in faccia?


Non senza vergogna, timore, desiderio di conoscere e di riconoscersi, Emmanuel Carrère propone quello che lui stesso ha definito un "romanzo-verità" alla ricerca non di quanto accaduto, ma di cosa sia passato per la testa a Jean-Claude Romand quando "andava a perdersi, da solo, tra le foreste del Giura", prima di decidere di sterminare la moglie, i figli, i genitori, il cane e aver tentato di uccidere anche l'amante.

Carrère lo ha contattato, ha assistito al processo, ha letto il fascicolo dell'istruttoria che ha conservato fino al giorno della scarcerazione come un "sinistro fardello".
L'ossessione nei confronti di quella storia  lo ha divorato, sin dal primo articolo letto sul quotidiano Libération, spingendolo a scrivere una lettera allo stesso Romand. Lettera che, inizialmente, non ha trovato risposta, ma che gli ha dato modo di realizzare l'opera che attendeva da sette anni, La Settimana Bianca. E proprio quel romanzo si è rivelato la chiave di volta che ha spinto Romand a rispondere all'autore approvando, da buon narcisista, il suo progetto di scrittura.

Difficile approcciarsi a una simile tragedia, difficile provare a scriverne, difficile sospendere il proprio giudizio davanti a una storia così cruda e spietata. Ecco perché L'Avversario è un vero capolavoro di letteratura. Breve, ma intenso.

La storia del caso Romand è stata ampiamente trattata dalla cronaca, soprattutto francese, agli inizi degli anni '90 e i fatti sono noti, più o meno, a tutti. Intrecciando la vicenda con la propria vita, Carrère ripercorre la storia dell'assassino a partire dalla brutale notte in cui ha tolto la vita ai suoi cari, per poi simulare un tentativo di suicidio dando alle fiamme la casa in cui viveva.
Seguendo la vita di Romand sin dall'infanzia, scopriamo una fitta rete di menzogne che ha origine da un apparentemente innocuo divieto, impostogli da bambino, di raccontare bugie per non arrecare dispiacere alla madre, la quale spesso "si faceva il sangue cattivo", soffriva di depressione. Veto che Romand non ha mai rispettato. Anzi, nel corso degli anni, quel "ragazzino giudizioso, calmo e obbediente" ha accresciuto il castello di falsità fino alla bugia che ha cambiato irrimediabilmente la sua vita: quella sull'esame di ammissione al secondo anno di Medicina, mai sostenuto e celato ai suoi conoscenti.
Nel corso degli anni, Jean-Claude Romand soffre per amore, prova a conquistare l'ammirazione di una cerchia di amici, si sposa, diventa padre, ha un'amante, ordisce truffe per mantenere la famiglia. Mente a tutti (ma non, a suo dire, sugli affetti) per diciotto anni sulla laurea mai conseguita, sulla sua luminosa carriera presso l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sulle sue altolocate conoscenze, sullo stato delle sue finanze, sulle sue giornate trascorse in solitudine e sofferenza interiore che non esterna mai. E che potrebbe essere stata il fattore scatenante di tutte le sue atrocità insieme al suo costante desiderio di piacere agli altri, a tutti i costi.
Romand "fugge dalla realtà per sfuggire alla depressione" creandosi una sorta di alter ego brillante, rispettabile, forse incolore, ma apprezzato da tutti. E non riesce più a fare a meno di quel personaggio, vivendo in una dimensione parallela, quella dell'apparire, per dissimulare il suo vero essere, vuoto e inconsistente. Fino al terribile epilogo scaturito da necessità reali che non riesce più a occultare, dalla paura del confronto, dalla verità che solo lui conosce, ma non sa più riconoscere.

Carrère ha più volte dichiarato di non aver saputo, per molto tempo, quale punto di vista adottare scegliendo, infine, la soluzione più semplice e onesta: il suo, l'io narrante è lo stesso Carrère.
L'atteggiamento confuso dello scrittore francese si riflette nella forma, asciutta ed essenziale, dai toni del reportage, ma a volte non lineare perché sperimentale. L'Avversario segna, infatti, una svolta nella carriera dell'autore.

La storia di Romand è una sorta di monito alla parte più inquietante del nostro Io interiore, a quel che accadrebbe se mettessimo in pratica i pensieri più inconfessabili che la coscienza umana non può tollerare.
L'autore vede il protagonista come un dannato, "un uomo al quale è accaduto qualcosa di agghiacciante, vittima di forze demoniache". Vittima dell'Avversario, Satana in ebraico.
Ma non lo giustifica. Mai. Prova a comprenderne i pensieri, gli stati d'animo, gli atteggiamenti. Spinge il lettore a porsi domande e riflessioni, interrogativi sul male, sulla fede e sulla redenzione, a immedesimarsi nella spirale di bugie del carnefice e nelle vittime inconsapevoli di quel mondo oscuro che credevano di conoscere.

La grandezza di Carrère consiste nella capacità di creare, attraverso la narrazione, un rapporto di identificazione, del quale l'autore stesso è vittima e artefice, con il protagonista della tragedia.
Eppure, una volta terminato il libro e tastata nuovamente la solidità della realtà dopo un incredibile viaggio nel vuoto, si ha la consapevolezza di essere stati irretiti dal manipolatore Romand, così come lo sono stati amici, parenti e, con ogni probabilità, l'autore stesso. Si prova sgomento e turbamento per aver "vissuto" attraverso le pagine, e quasi sfiorato, una realtà così spietata.
Esauritosi il potere letterario di Carrère e lasciati decantare i pensieri, si torna ad avere un atteggiamento distaccato, giudicante. Si rifiuta con forza il paragone, si prendono le distanze da una discesa così abissale nelle tenebre, ma rimane la paura di aver subito il fascino di un lato perturbante della condizione umana. E si pensa alle vittime, con un senso di colpa e un rammarico indicibili.

«Vi parleranno di compassione. Quanto a me, la riservo alle vittime». È iniziata così la requisitoria del Pubblico Ministero, che è durata quattro ore. L’imputato è stato descritto come un individuo perverso e machiavellico, capace di «prendere una falsa identità, come altri prendono i voti» e di godersi appieno il successo della propria impostura.








4 commenti:

  1. Ciao Piera non conoscevo il romanzo, complimenti per la bella analisi! :-)

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  2. Che tremenda inquietudine traspare dal romanzo, così come ce lo presenti... forse il potere della scrittura, della buona scrittura, è quello di farci attraversare tutto lo spettro dei sentimenti umani.

    E al bravo lettore è dato di tollerare questa ambiguità, questa sospensione momentanea del giudizio, di saperla trasmettere agli altri... credo che tu ci sia riuscita benissimo :)

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    1. Grazie di cuore! Apprezzo sempre tantissimo il tuo parere! :)

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