giovedì 27 luglio 2017

Recensione: "Piccolo paese" di Gaël Faye

Lunedì 4 gennaio 1993.
Cara Laure, il mio nome è Gaby (…). La mia città è Bujumbura. Il mio paese è il Burundi (…). Ho gli occhi marroni, quindi vedo gli altri in tonalità marrone. Mia madre, mio padre, mia sorella, Prothé, Donatien, Innocent, i miei amici… sono tutti color caffelatte. Ognuno vede il mondo attraverso il colore dei suoi occhi. Siccome tu hai gli occhi verdi, io per te sarò verde (…). Da grande, voglio fare il meccanico per non trovarmi mai in panne nella vita. Bisogna saper riparare le cose quando non funzionano più (…). Quest’anno ci saranno le elezioni per decidere un presidente per la Repubblica del Burundi. È la prima volta che succede. Io non potrò votare, devo aspettare di essere meccanico. Ma ti dirò il nome del vincitore. Promesso! A presto. Un bacio Gaby.

Ho letto questo libro in francese per un esame all’università e l’ho trovato così ricco di spunti da volergli dedicare una recensione completa. Si tratta di un rarissimo caso ma, ogni tanto, succede!
Piccolo paese è il romanzo d’esordio di Gael Faye. Di mamma ruandese e padre francese, l’autore narra la storia, in parte autobiografica, del piccolo Gabriel. Attraverso i suoi occhi di bambino scopriamo il suo passaggio dall’infanzia felice alla crudeltà della guerra. 



TITOLO: Piccolo paese
AUTORE: Gael Faye
EDITORE: Bompiani
ANNO: 2017
PREZZO: 9,99€ (eBook); 16€ (copertina)
PAGINE: 208

TRAMA: 1992. Gabriel vive a Bujumbura, in Burundi, in un quartiere di espatriati. Suo padre è francese, sua madre del Ruanda. Ha una sorella più piccola, Ana, e una banda di amici inseparabili - Gino, Armand, i gemelli - cresciuti insieme a lui nel vicolo: le loro giornate cominciano quando finisce la scuola e viene il momento delle case sugli alberi, dei furti di manghi nei giardini degli altri, delle avventure lungo il fiume, delle chiacchiere sbruffone e sognanti dentro il guscio di camioncino che è il loro quartier generale. Poi i genitori che si separano, le prime elezioni del paese, la guerra civile: Gaby credeva di essere soltanto un bambino e si scopre meticcio, tutsi, francese. Il papà vuole spedire tutti in Europa, la mamma decide di restare, strappata a metà, trasformata per sempre dai lutti più feroci: in un attimo la paura rovescia tutto, invade le vite di tutti, mette fine all'infanzia e costringe ad andarsene, a disperdersi, a perdersi. Passeranno anni prima che Gaby faccia ritorno nel suo piccolo paese, alla ricerca della sua età d'oro, o di quello che ne è rimasto.


Gabriel (Gaby per gli amici) vive a Bujumbura con il padre francese Michel, la madre Yvonne (un’infermiera ruandese) e la sorella minore Ana in un benestante quartiere di espatriati.

Il prologo ci regala delle informazioni sulle etnie, sempre viste attraverso il mondo innocente dei bambini. Gaby domanda al padre perché gli Hutu e i Tutsi si facciano la guerra. Il padre, per tenerlo all’oscuro da quegli orrori, risponde scherzando e negando al figlio la visione di un mondo ben più complesso. Ma Gabriel si dimostra un ragazzino sveglio e intelligente. E sa che deve dubitare di quella risposta.
 
Le pagine successive ci portano al presente. Gabriel racconta la sua vita in Francia: ha un lavoro stabile, un appartamento, delle relazioni, qualche storiella. Ma il ritorno lo ossessiona continuamente: vuole tornare a Bujumbura, al contrario della sorella, troppo scossa dagli avvenimenti e fermamente decisa a chiudere quei capitoli del passato.

Mi osservo in società, al lavoro, con i colleghi d’ufficio. Sono proprio io quel tizio nello specchio dell’ascensore? Il ragazzo al distributore del caffè che si sforza di ridere? Non mi riconosco. Vengo da così lontano che ancora mi sorprende essere qui…

Ha inizio, allora, la vera storia. La separazione dei genitori di Gabriel, divisi sin dal principio da profondi malintesi, comincia a sgretolare quel paradiso perduto che verrà intensamente colpito dallo scoppio della guerra civile, dai conflitti etnici che trovano il loro culmine nel genocidio del Ruanda.

Il piccolo Gaby, fortemente intenzionato a rimanere neutrale, scopre che il mondo intorno a lui, al contrario, lo ha ben definito: è un meticcio, un Tutsi, un francese. E la paura costringerà lui e i suoi amici di sempre ad abbandonare l’innocenza dei giochi nel vicolo e le risate nella vecchia carcassa di una Volkswagen. Frasi e atteggiamenti razzisti emergeranno prepotentemente dalle persone più vicine alla famiglia di Gabriel e i terribili lutti segneranno tutti, Yvonne per prima, facendo disperdere nella polvere delle strade gli ultimi rimasugli di quell’ormai lontano tempo dorato.

Gabriel troverà conforto nella casa di M.me Economopoulos, grazie alla quale scoprirà la passione per i libri e la letteratura che gli regaleranno un mondo nel quale rifugiarsi, abbandonarsi ai sogni e lasciare fuori da quell'oasi la violenza della guerra .

Piccolo paese è un viaggio nostalgico tra ricordi d’infanzia dolci e amari narrati con estrema sensibilità e intensità grazie alle frasi, brevissime, che ricordano vagamente il ritmo della musica rap tanto cara a Faye.
Fa riflettere sugli errori del passato. E su quelli del presente.



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